ll territorio del Matese, del Medio Volturno e della Valle Telesina é costituito da una catena di monti prevalentemente calcarei dell’Appennino sannita situata tra Molise e Campania e da una fertile e ubertosa pianura alluvionale. È un territorio ricco anche di luoghi selvaggi, popolati da lupi e aquile reali, paesaggi dolci, con laghi dalle acque azzurre in cui si specchiano le cime delle montagne, centri storici ben conservati e prodotti tipici genuini, unici e saporiti. La Nostra Terra rappresenta un patrimonio di storia, tradizioni e leggende, molte delle quali vivono tuttora come espressione del folklore locale, strettamente connesso alla quotidianità della vita contadina e pastorale. Nei borghi, perfettamente conservati, in cui si vive in una condizione di grande tranquillità e serenità, è possibile camminare a piedi attraverso stradine in pietra che trasudano di storia.
Preistoria.
Per il felice connubio di monti, colli e piane ricche di laghi e corsi d’acqua, questo territorio fu frequentato sin dalla preistoria. Ne fanno fede dei ritrovamenti di manufatti preistorici da Capriati, Prata, Pratella, Letino, Ailano, S. Potito, Piedimonte. Tra Pratella ed il Volturno sono stati raccolti manufatti neanderthaliani con industria di tipo “levallois”, testimoniati anche a Cerreto. Al neolitico appartengono le ascette di giadeite, e lame da Alife, Telese, Faicchio, S. Angelo D’Alife. Nell’Eneolitico gli uomini della c.d. Cultura del Gaudo, cercatori di metallo e pastori popolarono queste contrade. Una loro necropoli é segnalata alle pendici orientali del Matese in localita Ripa Cantalupo di Faicchio. Vasi, frecce e soprattutto i bellissimi pugnali di selce sono riemersi numerosi a Capriati al Volturno, Ailano, Alife, Piedimonte Matese.
Età Sannita.
Alife ha restituito una fibula del bronzo finale databili al X sec. A.C. ed inoltre la piu cospicua testimonianza dell’età arcaica: la grande necropoli di Conca d’Oro. Altre necropoli sannitiche databili tra il VII ed il IX secolo a.C. sono apparse nelle località Secine e S.Pietro di Letino, nella pendice di Costa Santa Croce di S. Gregorio, in varie contrade di Valle Agricola, ad Ailano, a S.Potito Sannitico e a Gioia Sannitica, tra Carattano e Calvisi, a S.Angelo d’Alife. Hanno restituito anche materiali greci ed etruschi e ad Alife é testimoniato il costume funerario delle tombe a cassa di tufo con raffigurazioni dipinte. Nel IV sec. a.C. ebbe inizio la coniazione di monete analogamente a quanto avveniva nelle città greche della costa. Sono state rinvenute monete preromane di Allifae e Fistelia, città di ignota ubicazione, che doveva essere, però, prossima a Allifae ed a Telesia, che pure batté moneta. I Sanniti vivevano di agricoltura, pastorizia, mercenariato ed abitavano vicatim, cioé in villaggi sparsi sul territorio ma realizzarono la prima massiccia urbanizzazione di questi territori costruendo una grande rete di abitati sulle alture, fortificati con cinte di mura megalitiche. Le fortezze di S.Angelo d’Alife e del Monte Cila e di Castello del Matese assicurano il controllo della media valle del Volturno.
Età Romana.
Tra il Monte Maggiore ed il Roccamonfina ebbero inizio le Guerre Sannitiche con l’attacco sannitico a Teanum nel 343 a.C., narrato da Tito Livio. Qui awenne uno scontro decisivo nel 340, presso la località di Veseris che il Pareti ed il Majuri identificano col Roccamonfina. Data però al 326 a.C. la penetrazione romana del territorio come risulta dalla sintetica notazione di Tito Livio: “tria oppida venerunt in potestatem: Allifae Callifae Rufriumque” che da conto della conquista dei centri sannitici di Alife e Roccavecchia di Pratella. Livio ricorda che nel 310 i romani dovettero nuovamente espugnare Alife. Dopo la pace sannitica questi territori saranno menzionati da Livio in relazione all’invasione annibalica, col ricordo dello stratagemma del Callicula Mons allorché Annibale proveniente da Telesia e passato per il territorio alifano invase l’agro Falerno, tra il Massico ed il Volturno, coltivato da coloni romani. Fabio Massimo lo intrappolò sbarrando il passo sul Callicula Mons, ma Annibale ricorse allo stratagemma dei buoi incendiari e lo beffd dileguandosi. Nella piana, ripartita secondoimoduli della centuriazione, fu costruita la città nuova di ALLIFAE con la pianta rettangolare dell’accampamento romano, con mura in opera incerta scandite da torri e da quattro porte. Allifae continuera a vivere di agricoltura, di pastorizia, di artigianato, con produzione di laterizi e di ceramica, e grazie alla lavorazione della lana ed alla silvicultura, nello splendore dell’eta imperiale.
Invasioni Barbariche – Longobardi.
Il V secolo fu un’epoca di crisi, sia per il terremoto del 346 d. C. a seguito del quale Fabius Maximus rector provinciae restaurò le terme di Allifae e Telesia, sia per le alluvioni che sollevarono di qualche metro la pianura attorno ad Alife e parzialmente la seppellirono. Le invasioni barbariche, la guerra gotica ed infine l’invasione longobarda (570-594 d.C.) porteranno Allifae Caiatia e Cales ad essere sedi di gastaldato e di vescovi. Toponimi come fara e sala diffusi a S. Potito e Prata, tipici dell’insediamento longobardo, segnano lo stanziamento di nuclei di questa gente. La località Volgari di Gioia Sannitica certo trae il nome dai bulgari di Alzecone di cui Paolo Diacono tramanda l’insediamento principale tra Boiano e Sepino. Più tardi grandi monasteri benedettini o umili grance rifletterono su questa terra la luce di San Benedetto. Tra questi S. Salvatore presso Piedimonte Matese e S. Maria in Cingla presso Ailano.
I Saraceni.
I Normanni dopo il 1000 espulsero e soppiantarono i Longobardi. L’avvento dei Normanni segno un’epoca di infinite contese e la necessità di prowedere alle difese. Nacquero cosi le rocche di Gioia Sannitica e Sant’Angelo D’Alife. Le antiche mura megalitiche sono rioccupate dai castelli normanno della Rocca di S. Vito sull’altopiano di Roccavecchia di Pratella. Nel Catalogus Baronum, dall metà del XII secolo troviamo i nomi di molti abitati del matesino: Gioia, Alife, S. Angelo, Prata, Letino e Gallo, Capriati e Fossaceca. E’ facile notare che in età normanna l’attuale fisionomia abitativa del territorio é ben fissata, dovendosi aggiungere solo i nomi di pochi centri affermatisi in seguito, come Piedimonte, o scomparsi, o che hanno in un secondo tempo cambiato nome come Fossaceca, oggi detta Fontegreca.
Epoca Sveva.
Grandi lutti gli abitati subirono nelle lotte tra i Capitani Imperiali e Manfredi: nel 1193 gli Imperiali guidati da Moscaincervello, Diopoldo e Corrado, presero e saccheggiarono Venafro, Sesto e Roccaravindola, bruciarono Telesia. Nuovi turbini di guerra nel 1229; allorché il Papa dopo aver scomunicato l’lmperatore fece invadere il Regno dall’esercito dei Clavisegnati: Mignano capitold, Presenzano anche, Pietravairano tento la difesa e fu presa con la forza, come Vairano ed il territorio sino a Calvi, inclusa questa città e Teano. Poi furono occupate Rocca d’Evandro, Suio e Traietto. Raggiunta Capua l’esercito del Cardinal Pelagio tornò indietro e occupò Ailano, mosse poi su Alife che fu presa con la forza, come pure Piedimonte, mentre non fu espugnata la torre di Piedimonte, probabilmente da identificare con Castello. Fu posto l’assedio a Caiazzo. Poi venne la riscossa imperiale. Federico II mosse da Napoli ed assediò e conquistoò Calvi, passando per Riardo raggiunse l’Abbazia della Ferrara, di cui sono i ruderi presso Vairano Patenora, ove pose il campo per tre giorni nei quali operò la riconquista di Vairano, Alife, Venafro e del contado di Teano. D’ora in avanti tutto il Medioevo si snoderà in una sequela di assedi e battaglie e distruzione, specie durante le lotte tra Angioini ed Aragonesi, ed al tempo di Marino Marzano, Duca di Sessa e Principe di Rossano. Ci limitiamo a ricordare solo, per la particolare efferatezza, la distruzione di Pietramelara, con circa 700 morti, ed il sacco di Roccamonfina, operati dagli Aragonesi nel 1496.
Dal Vicereame al 1943.
Nel Seicento sarà poi memorabile la breve avventura del capomassa Domenico Colessa, il Brigante Papone. Venne poi Carlo Ill che passando per Piedimonte raggiunse Napoli. I Borbone visitarono Piedimonte, Capriati, Pietramelara, realizzarono strade, favorirono l’industria. Poi in questo territorio (nel quale era iniziata l’avventura unificatrice di Roma, e nato il Regno di Napoli), si compì l’unità d’Italia, con l’incontro tra Vittorio Emanuele e Garibaldi. E vennero di nuovo giorni bui, con la disperata insurrezione dei lealisti borbonici e la spietata repressione del brigantaggio. Migliaia furono le vittime e per molti paesi iniziò una lunga vicenda di emigrazione. Poi, nell’Ottobre 1943 tornò la guerra, seminatrice di lutti e distruzioni, e di una nuova invasione, non meno crudele, ma è qui, con la “Battaglia di Montelungo”, che col sacrificio dei giovani dell’Esercito Italiano rinacque la nuova Italia.
A cavallo tra le province di Campobasso e Caserta, il massiccio del Matese rappresenta un piccolo gioiello dell’Appennino centro – meridionale. Il complesso montuoso, l’antico MonsTifernus, e formato da calca re ricco di fossili, emerso dal mare più di 100 milioni di anni fa. La vetta più alta e quella del monte Miletto (2.050 metri s.l.m.) da cui, nelle giornate più limpide, e possibile scorgere contemporaneamente l’Adriatico e il Tirreno. L’origine marina e evidente anche a un’esplorazione sommaria della roccia. Il Matese presenta notevoli e imponenti fenomeni carsici, sia in superficie che in profondità: valli chiuse, polje (grandi bacini con fondo pianeggiante), doline, inghiottitoi e grotte caratterizzano buona parte del territorio, che e quindi ricchissimo di acque sotterranee. Vi si trovano numerosi pianori carsici, vertiginose gole, profondi a bissi, tra i più profondi d’Italia, accessibili solamente a speleologi esperti. Al centro del massiccio si estende il lago del Matese. Trasformato in un bacino artificiale, mediante la costruzioni di più dighe che hanno isolato gli inghiottitoi presenti sul lato meridionale, ospita numerose specie di uccelli nidificanti e di passo. La fauna e assai ridotta rispetto al passato ma in lenta e costante ripresa. L’orso e estinto da almeno un secolo, mentre il lupo e in netta ripresa. Sono comunque presenti il cinghiale, la martora, il gatto selvatico, il tasso, il ghiro, e tra gli uccelli l’aquila, il gufo reale, il picchio rosso, il falco pellegrino, lo sparviere. La vegetazione e formata da latifoglie decidue, castagneti e querceti alle quote più basse; conifere, faggete e pascoli a quelle più alte. Dopo i 900 metri si incontrano immensi boschi di faggi. 1 pianori carsici presentano splendide fioriture primaverili. Importante anche dal punto di vista culturale, il Matese ospita insedia menti sanniti e romani. Imponenti mura megalitiche sono presenti sul monte Cila, nei pressi di Piedimonte Matese, e a Terravecchia di Sepino.
Il Parco Nazionale del Matese e stato istituito ai sensi dell’a rt.1, comma 1116 della legge finanziarie dicembre 2017 su una superficie di oltre 1OO mila ettari che interessa sia il versante molisano che (campano, con una dotazione finanziaria di 300 mila euro per 2018 e 2 milioni di euro a partire dal 2019. Nell’area del parco ricadono ben 64 comuni ripartiti in quattro province (Caserta, Benevento, Isernia e Campobasso) e due regioni (Campania e Molise). Nel territorio sono presenti cinque fiumi e tre laghi e sedici corpi idrici sotterranei. Nello studio preliminare sono state individuate centottanta produzioni agricole e zootecniche di qualità (coltivazioni locali, razze in via di estinzione, prodotti con marchi di qualità) che costituiscono importanti elementi di valorizzazione per lo sviluppo di un’economia sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Innumerevoli le valenze ambientali distribuite du quattro tipi di paesaggi: montagne carbonatiche, pianura di fondovalle, colline carbonatiche e rilievi con penne e spine rocciose. Sono presenti 44 geositi fra cui il sito paleontologico di rilevo internazionale di Pietraroja dove è stato rinvenuto un fossile di un cucciolo di dinosauro, lo Scipionyx Samniticus. Nell’area del Parco vi sono importanti siti di svernamento per la fauna acquatica quali il lago del Matese, il lago di Gallo e quello di Letino, l’oasi delle Mortine in prossimità del fiume Volturno. E’ stata individuata un’area di collegamento ecologico funzionale tra il Parco Nazionale del Matese e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise per le specie a priorità di conservazione come l’orso bruno marsicano, la lontra, la rupicapra e il lupo. Sono stati inoltre inclusi nell’area del parco diversi siti di svernamento e riproduzione di chirotteri minacciati di estinzione. Il Parco tra l’altro e ricco di sorgenti d’acqua, monumenti storici, siti archeologici, tra cui la plurimillenaria citta romana di Saepinum – Altilia, perfettamente conservata, con le terme, il teatro, il foro, il selciato romano ancora intatto, santuari, borghi e castelli. Il fondovalle del parco sia del versante campano che molisano e attraversato da due antichissime direttrici viarie, oggi percorse da migliaia di viandanti e pellegrini: la Via Francigena del Sud che collega Roma con Santa Maria di Leuca e la Via Micaelica che da Poggio Bustone nei pressi di Rieti arriva sino a Monte S. Angelo, sul Gargano. Sono dunque presenti tutti gli ingredienti per uno sviluppo armonico del territorio e il Parco Nazionale potrebbe senz’altro diventare il motore propulsore dell’intera economia delle aree interne della Campania e del Molise, unite da un unico obiettivo: stimolare la crescita di una economia sostenibile, offrire ai giovani di domani un lavoro e un reddito legato al territorio dove abitano, salvaguardare il suolo montano dal degrado.